Tra i giovani ucraini in preghiera per la pace: «Sotto le bombe è dura non perdere la speranza»

 Tra i giovani ucraini in preghiera per la pace: «Sotto le bombe è dura non perdere la speranza»

Sono circa duemila i giovani arrivati a Roma per partecipare al Giubileo. Alcuni di loro arrivano da Odessa e Kharkiv grazie alla solidarietà delle comunità ucraine statunitensi e canadesi. Tutti sono dati appuntamento nella parrocchia greco-cattolica, la chiesa dei Santi Sergio e Bacco al rione Monti: «L’invasore può distruggere le nostre case e infrastrutture ma non lo Spirito Santo e la forza di sperare. Abbiamo diritto a una pace giusta»


I canti tradizionali dell’Ucraina all’esterno, attorno alla fontana della piazzetta della Madonna dei Monti, a due passi dal Colosseo. I canti religiosi, accompagnati da chitarre e tamburi, all’interno della chiesa dei Santi Sergio e Bacco, la parrocchia degli ucraini greco-cattolici di Roma. È qui che gran parte dei duemila ucraini che partecipano al Giubileo dei giovani si sono dati appuntamento per stare insieme: pregare, fare festa, abbracciarsi, sventolare le bandiere del proprio Paese e posare per una foto ricordo con alcuni artisti vestiti con gli abiti tradizionale.


«Tutte cose che non possiamo fare nel nostro Paese a causa della guerra», dicono, con un sorriso amaro, Ruslana e Kateryna. Entrambe arrivano proprio dall’Ucraina, vicino Kyiv, per partecipare a questo Giubileo che papa Leone XIV ha subito posto sotto il segno della pace. E nessuno come loro, sulle cui teste, da quasi tre anni, piovono bombe sganciate dalla Russia, sa cosa significa implorare la pace in questo momento drammatico. «Non siamo venuti per divertirci ma per incontrarci, conoscerci, sentirci uniti con i giovani di tutto il mondo che condividono la fede in Gesù Cristo», dice Kateryna, «tutto questo, per noi, ci sostiene e ci dà forza e ci fa avvertire la presenza di Dio. Noi ucraini siamo aperti al dialogo con tutto il mondo». Il Giubileo è dedicato alla speranza e molti ucraini hanno perso la speranza che la guerra possa davvero finire con una «pace giusta e duratura», come sottolineano, «perché non abbiamo bisogno di ulteriori umiliazioni».


Ruslana è scettica: «Durante i bombardamenti notturni non è facile sperare, a volte anch’io penso che la pace non la vedremo più e che dopo tre anni di conflitto dovremo prepararci ad altri tempi duri», racconta, «poi, esattamente come accade nella vita di ciascuno di noi, ai momenti di scoraggiamento e di rabbia succedono quelli in cui la speranza torna e, con lei, anche la forza di andare avanti». Kateryna concorda: 


«A volte me la prendo con Dio, sento che la fede viene meno, ma è proprio in quei momenti che è necessario avere qualcuno accanto che ti aiuti a superare la crisi. Questo Giubileo è un grande abbraccio per noi perché sappiamo di non essere soli ma insieme ai nostri coetanei di tutto il mondo, agli altri popoli, al Papa e al Signore. Spesso la speranza crolla e vediamo tutto buio, poi ci rialziamo e torniamo a sperare perché nonostante tutto la vinta vincerà, anzi ha già vinto, il male».

Nella parrocchia ucraina di Roma è stata organizzata una veglia di preghiera per la pace non-stop di 12 ore. I ragazzi, intere famiglie, molte suore si alternano per pregare attorno all’icona mariana.


https://youtu.be/b3q88hG9i6c?si=N9oxcWkglee4mhcp

 La video-intervista a padre Roman Demush 

«La preghiera è la medicina migliore», dice padre Roman Demush, responsabile della Pastorale giovanile del Patriarcato greco-cattolico ucraino, che parla perfettamente l’italiano e racconta le iniziative messe in campo per permettere a tanti ucraini di partecipare a questo Giubileo: «Circa 1.500 ragazzi arrivano dall’Ucraina mentre altri cinquecento arrivano da vari paesi nel mondo dopo si sono rifugiati in fuga dalle bombe», racconta, «inoltre, c’è un centinaio di ragazzi che arrivano dalle zone più colpite dal conflitto come Odessa, Kharkiv e la regione del Donetsk. La loro partecipazione è stata resa possibile grazie all’iniziativa “Il biglietto della speranza”, una raccolta fondi nelle parrocchie greco-cattoliche di rito ucraino degli Stati Uniti e del Canada».

Accanto a padre Demush c’è il vescovo Bryan Bayda, eparca di Toronto e capo della Commissione del Patriarcato greco-cattolico per la Pastorale giovanile: 


«Io penso che il nostro aggressore può rovinare le case, le ferrovie, le infrastrutture ma non riesce a combattere e distruggere lo Spirito Santo», dice, «la preghiera è come una fonte di energia per la nostra anima. Solo dalla preghiera i nostri giovani traggono la forza per vivere sotto le bombe e restare ancorati alla speranza che non delude mai perché nessuna bomba può annientare la forza di Dio. La sua volontà è la pace e sulla croce Gesù ha sofferto molto per compiere la volontà di Dio. Pativa ma, al contempo, era sereno perché sapeva che Dio non lo aveva mai abbandonato. Questo è e deve essere il nostro stato d’animo».

Monsignor Bayda sottolinea di aver partecipato a nove Giornate mondiali della Gioventù e ogni volta, spiega, «per me è una responsabilità enorme radunare i giovani per la preghiera. Voglio che quest’esperienza di Roma sia una metanoia, un cambiamento della loro mentalità».

Oltre a quella di mercoledì 30 luglio, gli ucraini a Roma hanno organizzato per giovedì 31 un'altra giornata di incontro e preghiera che hanno chiamato, significativamente, “Raduno dei dispersi” e si svolge nella Basilica di Santa Sofia «per dare a tutti i ragazzi la possibilità di incontrarsi tra loro, pregare e fare festa».

Padre Demush sottolinea l’importanza del messaggio di pace lanciato da papa Leone XIV martedì sera nella Messa d’apertura del Giubileo: «Il suo grido ci rincuora e ci dà la forza per andare avanti e non scoraggiarci. Devo ringraziare anche il Dicastero per l’Evangelizzazione e monsignor Rino Fisichella che hanno voluto donarci mille kit del pellegrino da donare ai nostri ragazzi». Proprio Fisichella, in apertura della Messa di accoglienza ai pellegrini, aveva ricordato i giovani provenienti da zone di guerra.


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